Limonov: Occidente ospizio controllato dai media
Alessandro Gnocchi · 10 Agosto 2024
In questa nuova puntata di “Alta tiratura” Alessandro Gnocchi, dopo un’excursus su “Il ministero della guerra sporca” di Damien Lewis (Neri Pozza, 384 pagine, 21 euro), ci porta nel mondo di Eduard Limonov, parlando di un suo saggio poco conosciuto ma illuminante sulle condizioni del mondo occidentale. Limonov è uno straordinario personaggio, poliglotta e talentuosissimo, ma è diventato famoso per una biografia bestseller a lui dedicata da Emmanuel Carrère: è probabilmente un ritratto sbagliato, ma quando gli venne chiesto che cosa ne pensasse, Limonov rispose: non ci ho capito niente, ma sono grato a Carrère perché mi ha reso ricco.
Il libro di Limonov di cui Gnocchi racconta si intitola “Grande ospizio occidentale” (Bietti, 233 pagine, 20 euro), e spiega le seguenti cose: l’Europa è stanca e non crede più in se stessa, né nei suoi valori e di conseguenza è invecchiata. Gli europei, come tutto l’Occidente in realtà, vivono in una simulazione della libertà, in un “universo concentrazionario”, un lager estremamente confortevole, per cui noi ci stiamo volentieri, come in un ospizio.
È un concetto che aveva già espresso nel suo capolavoro autobiografico, “Libro dell’acqua”: “I francesi, i tedeschi, gli americani da tempo non hanno più nessuna energia, ho avuto molte occasioni per convincermene, non sentono più la vita, il futuro appartiene ai talebani, ai turchi, basta guardare come se le danno, ai curdi, a tutta questa folla selvaggia di individui sospetti che gli europei disdegnano e non capiscono”. In pratica in Europa non c’è più vita, abitiamo in lager dorati e le nostre città sono diventate dei Luna Park per i turisti.
Limonov dice anche che Orwell (perché in questi pensieri il riferimento a “1984” sembra quasi automatico) non è più attuale: siamo passati a una violenza soft che è il controllo psicologico, cioè un sistema di sorveglianza avanzato: la digitalizzazione liberticida di ogni aspetto dell’esistenza, la sostituzione delle emozioni e delle pulsioni vitali dell’uomo con i succedanei dell’intrattenimento di massa. Perché? Perché siamo stanchi, perché non crediamo più nella libertà come valore fondante. Tutto questo Limonov l’ha scritto nel 1988-89.
Se la violenza “dura” consiste nel reprimere fisicamente l’individuo, al contrario la violenza “morbida” si basa sullo sfruttamento delle sue debolezze. La prima tende a trasformare il mondo in una cella di massima sicurezza, mentre la seconda mira a fare dell’uomo un animale domestico. Insomma, un regime morbido fa meno di divise, manganelli e tortura. Attinge dal suo arsenale il falso progetto del benessere materiale, il timore della disoccupazione e della crisi, il timore e la vergogna di essere più povero e quindi meno buono del vicino, e infine la pigrizia.
Sugli intellettuali Limonov è cattivissimo: sono “derubricati dalla società mediatica. Costoro non costituiscono più una forza indipendente. La funzione di produzione di opinioni prefabbricate è usurpata dai media”. Oggi i pensatori non sono più i Voltaire o i Sartre, ma i conduttori televisivi. “Gran parte degli intellettuali è riuscita a riciclarsi nella sfera dell’intrattenimento: avendo scrupolosamente abdicato al proprio compito, formano un gruppo di privilegiati ausiliari le cui pretese di avere la verità in tasca sono tanto grottesche quanto l’idea di essere rivoluzionari”.
L’idea del lager non viene dal niente: Limonov si fece una decina di anni di gulag, fu uno degli ultimi a finire in queste strutture quando il gulag era un campo di lavoro con il quale l’economia russa si sosteneva: quando, insomma, aveva bisogno della schiavitù per restare in piedi. Fondò un partito che chiamò provocatoriamente nazional-bolscevico, che aveva come obiettivo una Russia importante dal punto di vista internazionale, ma senza il ritorno ai valori della tradizione, che invece poi Putin sembra avere sposato. E quindi è stato a fasi alterne sia oppositore sia sostenitore di Putin, e ha pagato le sue posizioni con la dissidenza e anche con il carcere.